Torino – Negli ultimi mesi il progetto di proseguire senza intoppi l’organizzazione delle Olimpiadi Invernali 2026 é definitivamente fallito. Dopo tante esitazioni, progetti non chiari e volontà politiche mutate, i nodi sono arrivati al pettine e in modo non positivo per lo sport italiano: il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 non possiede una pista dove svolgere le gare di Bob, slittino e skeleton.
Si é trattato, lo diciamo senza giri di parole, di una storia incresciosa, che denota l’incapacità delle nostre istituzioni sportive di prendere decisioni di alto livello e delle istituzioni politiche di occuparsi con continuità di politica sportiva.
La decisione di Torino (in particolare dell’allora Sindaco Appendino) di ritirarsi dalla candidatura olimpica, poi risultata vincente, ha sicuramente messo in difficoltà il comitato organizzatore di Milano-Cortina. Nonostante un post-Olimpiadi complicatissimo, infatti, sul territorio torinese si trovano impianti facilmente recuperabili, di cui Lombardia e Veneto non dispongono. Parliamo, in particolare, della pista di pattinaggio dell’Oval Lingotto, della pista di Bob di Cesana Pariol e dei trampolini di Pragelato.
Se per le ultime due si é trovata una soluzione che può essere considerata competitiva (pista da pattinaggio a Rho Fiera, trampolini nel comprensorio già esistente della Val di Fiemme), la situazione bob é rimasta critica, perché la pista Eugenio Monti di Cortina non può essere recuperata agli standard attuali e costruire un impianto avrebbe impiegato risorse economiche (gli 81 milioni previsti sono sicuramente lievitati) e ambientali che ormai nessuno é più disposto a sostenere. Arrivati a poco più di due anni dai giochi (e a un anno dai test pre-olimpici obbligatori, che si dovranno svolgere nella stagione agonistica 2024-25) la situazione é drammatica e diversi decisori, come il Presidente del CONI Malagò, hanno deciso di gettare la spugna: le gare di bob si dovranno fare all’estero, a Innsbruck o Saint-Moritz.
Tutto bene, dunque? Assolutamente no, perché l’affitto delle piste estere costerà almeno 15 milioni di euro oltre alle spese organizzative e perché il nostro Paese sta dando al mondo sportivo e politico mondiale l’immagine di un luogo dove non si riesce a realizzare un progetto di ampio respiro.
La soluzione, a nostro avviso, esiste ed è sempre stata quella di recuperare la pista di Cesana Pariol, che non viene più utilizzata dal 2012 e si é ridotta alla triste condizione di vera e propria “cattedrale nel deserto”. Non vi si svolge più alcuna gara dal 2012 e la nazionale italiana di Bob, slittino e skeleton deve allenarsi all’estero, spesso in Austria o Svezia.
I costi per riportare Cesana allo status di pista funzionante non sono certo di poco conto. Si parla di 34 milioni di euro, più i costi per la gestione fino almeno al 2026. Non sono molti, però, se li si confronta con i 100 necessari per una pista nuova e con i 15 per affittare una pista straniera per due settimane. Aggiungiamo, inoltre, il danno d’immagine enorme di cui abbiamo parlato in precedenza. La Fondazione XX Marzo (che gestisce gli impianti Olimpici di Torino 2006) e la Regione Piemonte sembrano, finalmente, interessate a muoversi per costruire una candidatura seria per il territorio, provando a recuperare il tempo perduto. Sarebbe auspicabile, inoltre, che anche il territorio valsusino e le istituzioni sportive regionali (a partire dal Coni) sciogliessero le riserve e collaborassero per la riuscita di un progetto lodevole e necessario.
La nostra testata ha sempre sostenuto tutti i progetti di recupero ambientale o sportivo degli impianti delle “vallate Olimpiche” torinesi, a partire dalla tesi di laurea del nostro direttore, “Olimpiadi Torino 2006 e sostenibilità Ambientale”, e poi con l’impegno giornalistico, che non si fermerà con questo articolo. A nostro avviso il territorio e i cittadini meritano una gestione virtuosa delle infrastrutture sportive, che includa il recupero della Pista di Cesana Pariol per fini sportivi e per dare dignità ad un pezzo significativo degli sport invernali italiani. In alternativa, se la politica scegliesse la strada scellerata di svolgere una parte delle Olimpiadi italiane all’estero, riteniamo necessario lo smantellamento della pista e un progetto serio di recupero ambientale di un’area pesantemente sfruttata per le Olimpiadi di Torino 2006. Luigi M. D’Auria