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Mensile Indipendente fondato e diretto da Donato D'Auria. Registrato presso il tribunale di Torino il 30 dicembre 2014 al n° 38

L’Italia latita nella partita Libica

19 marzo 2019

E’ notizia di questi ultimi giorni che le truppe dell’Esercito Nazionale Libico, guidate dal Generale Haftar, sono riuscite a conquistare la località di el-Gatrun nella regione del Fezzan, arrivando quindi a controllare uno snodo strategicamente importante, soprattutto per quanto concerne i traffici di armi, droga ed esseri umani. In particolare, da questo punto di vista, data la rilevanza che il tema dell’immigrazione ha per l’attuale compagine di governo italiana, la notizia che il diretto avversario del governo di al-Sarraj, sostenuto da Roma, abbia ottenuto una tale affermazione dovrebbe far suonare più di un campanello d’allarme tanto a Palazzo Chigi e alla Farnesina, quanto al Viminale. La mancanza di una chiara linea di politica estera in seno al governo gialloverde è ancora più drammatica in questo contesto, dove l’Italia vanta interessi che vanno a impattare sulle strategie energetiche e geopolitiche nazionali.

Tuttavia, è necessario approfondire quali siano le condizioni, non solo militari, ma soprattutto sociali e geopolitiche interne alla Libia, al fine di comprendere la reale portata dell’avanzata di Haftar. L’ex colonia italiana è composta da tre macro regioni, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Per quanto concerne le ultime due, fin dai tempi della guerra libica del 1911/12 e della successiva amministrazione fascista, hanno rappresentato costantemente un problema dal punto di vista dell’assimilazione coloniale. La Libia, infatti, ha una struttura sociale basata sulle tribù e qualunque amministrazione deve dimostrare la capacità di sapere equilibrare interessi tribali spesso in contrasto tra loro. Durante la dominazione italiana, ad esempio, la tribù degli al-Senoussi ha rappresentato la guida della resistenza anti-coloniale, tanto che già nel 1951 avrebbe espresso il primo e unico re libico, Idris I. Con particolare riguardo al Fezzan, questa è la regione meno nota tra le tre che compongono l’ex Jamahiriya. Esclusivamente desertica, l’area è caratterizzata dalla presenza di popolazioni nomadi, di cui le etnie più rappresentative sono quelle Tuareg e Tebu. Entrambe hanno subito forme di discriminazione sia da parte della dittatura di Muammar Gheddafi, che da parte delle amministrazioni succedutesi dopo la cosiddetta Primavera Araba. L’importanza di tali gruppi etnici, tuttavia, è data dall’area coperta dai loro spostamenti. I Tuareg coprono infatti la zona transfrontaliera tra Libia e Algeria, mentre i Tebu coprono quella tra Libia, Ciad e Niger e proprio le milizie associate a queste etnie hanno fornito un sostegno determinante nella rapidissima avanzata delle truppe di Haftar nel Fezzan. In altri termini, se le milizie Tuareg controllano il corridoio che dalla Libia porta al Mali, e alle organizzazioni terroristiche lì presenti, quelle Tebu controllano un’area fondamentale per il flusso di esseri umani provenienti dall’Africa sahariana e sub-sahariana.

Il Generale, che gode del sostegno, tra gli altri, di Francia e Russia, è sempre più l’uomo forte della Libia. Il debole governo di al-Sarraj, seppure goda della legittimazione ONU quale rappresentante ufficiale del paese nordafricano, ha difficoltà a controllare anche alcune aree della capitale, Tripoli, e riesce a rimanere in carica solo grazie al sostegno fornito da alcune potenti milizie locali, quale è quella di Misurata. La Libia, in altri termini, dopo la caduta di Gheddafi, è uno stato fallito, incapace, cioè, di garantire il controllo del territorio e i minimi standard di convivenza civile. Il governo di Roma, pertanto, per quanto possa essere meritoria la decisione di sostenere il processo guidato dalle Nazioni Unite che ha portato alla formazione del governo al-Sarraj, dovrebbe comprendere come la posizione di quest’ultimo sia ormai del tutto compromessa, anche alla luce dell’avanzata di Haftar nel sud nel paese. Anche limitando i rapporti diplomatici alla questione migratoria, come potrebbe essere possibile trovare o mantenere accordi con un governo che, sul terreno, non ha la possibilità concreta di attuarli? Ciò non significa, chiaramente, che l’Italia debba abbandonare al-Sarraj in favore di Haftar, rischiando di compromettere ulteriormente la fiducia nel nostro paese. Tuttavia, al fine di tutelare i propri interessi in loco, sarebbe opportuno che il governo di Roma intraprenda i passi necessari in ambito ONU, al fine di riunire i principali attori interni al contesto libico, per trovarvi una soluzione condivisa, considerando, al contempo, i mutati rapporti di forza che vedono il Generale Haftar quale vero e proprio dominus della Libia.

Ciononostante, l’Italia continua a latitare. Nel frattempo, diretti competitor di Roma stanno stabilizzando le proprie posizioni nell’area. Francia, Russia e Cina, su tutti, non nascondono i propri interessi nella regione. La prima, per sostituire Roma quale principale gestore delle risorse energetiche libiche. La seconda, con particolari interessi energetici e militari nelle aree costiere della Cirenaica, nell’ottica di ampliare la propria area di influenza nel Mediterraneo, mentre la terza prosegue in quello che è il proprio approccio al continente africano, poggiato su massicci investimenti nelle infrastrutture locali. E’ necessario, quindi, che il governo italiano riaffermi le proprie priorità in Libia, senza appiattire il tema su una retorica anti-immigrazione che ha il solo effetto di indebolire la politica estera di Roma. Emanuele Bussi