Una Guerra Civile dai mille volti devasta la Libia
Bengasi – Per fortuna siamo riusciti a prendere l’ultimo volo disponibile da Bengasi a Barcellona. Non abbiamo scelto la città catalana per goderci una tappa di un tour del Mediterraneo, ma per scappare da questa guerra civile. Ormai era troppo pericoloso rimanere a Bengasi, e così la nostra redazione ha preso il primo volo verso una meta europea in partenza dal martoriato aeroporto della seconda città della Libia per allontanarci da questo inferno. Il volo, nonostante le attese, non è pieno, soprattutto a causa dei prezzi elevati, che hanno trasformato voli di seconda classe, un tempo accessibili per molti libici delle coste, in viaggi di lusso dove i documenti, che molti hanno perso, sono richiesti. Purtroppo chi vuole fuggire è obbligato a pagare cifre folli per imbarcarsi sulle celebri carrette del mare, rischiando così di morire in balia del Mediterraneo o a causa di stenti e freddo. Proprio mente stiamo per partire, diamo un’ultima controllata al cellulare e apprendiamo l’Egitto ha deciso di continuare ad oltranza i raid contro le posizioni dei Fratelli Mussulmani e dell’ISIS. Questa notizia non può che ricordarci come anche l’Italia sia coinvolta direttamente in questo conflitto, soprattutto per quanto riguarda i suoi risvolti economici. La maggioranza dei pozzi di estrazione di petrolio che si trovano all’interno del Paese sono infatti proprietà di ENI o di altre compagnie petrolifere italiane. Ciascuno di questi pozzi vale svariate decine, se non centinaia, di milioni di Euro. È chiaro, quindi, che la posta in gioco è troppo alta per rimanere indifferenti. Se questi pozzi finissero nelle mani di forze islamiste integraliste, ci troveremmo probabilmente senza gas e petrolio sufficienti per colmare il nostro fabbisogno e soprattutto con un esercito apertamente ostile al mondo occidentale a poche decine di chilometri dai primi lembi di terra italiani, come Pantelleria e Lampedusa. A nostro avviso, in ogni caso, bisogna procedere con la massima cautela, dato che per almeno tre motivi all’Italia non conviene iniziare una guerra contro la Libia e, anche in caso di Risoluzione ONU o NATO, muoversi con grandi mezzi, parliamo in particolare di portaerei, verso le coste libiche. Il primo è di natura prettamente umanitaria: non possiamo rischiare un secondo Afghanistan proprio mentre stiamo cercando di convincere l’UE della necessità di una seconda Operazione Mare Nostrum (che ci porterebbe finanziamenti anche in altri ambiti). Il secondo è, invece, di natura prettamente economica: un impegno cospicuo di uomini e mezzi significherebbe mettere in bilancio delle voci di spesa troppo pesanti per la nostra attuale situazione economica. Il terzo è quello più importante perché riguarda la natura strategica dell’operazione: chi dovremmo sostenere militarmente? La domanda è tutt’altro che ironica perché la Libia è dilaniata da un conflitto che vede sei eserciti contrapposti l’uno contro l’altro. Se l’interno è ormai terreno dei touareg e dei berberi, gli scontri maggiori si hanno sulla costa, dove si scontrano ciò che resta dell’esercito del governo in carica, bande di miliziani dell’ISIS, uomini dei Fratelli Mussulmani (movimento mussulmano semi-integralista, favorito per la vittoria e sicuramente preferibile all’ISIS dal punto di vista del dialogo) e addirittura bande di ex militari di Gheddafi. Insomma, in questo momento la Libia è un vero e proprio ginepraio, in cui conviene intervenire con cura se non ci si vuol pungere. Luigi M. D’Auria