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Mensile Indipendente fondato e diretto da Donato D'Auria. Registrato presso il tribunale di Torino il 30 dicembre 2014 al n° 38

Geraint Thomas vince il Tour: la Maglia Gialla resta in casa Sky

03 agosto 2018

Parigi – Bandiera del Galles fra le mani, il volto stanco e l’espressione commossa sono i tre segni distintivi di Geraint Thomas nel giorno del suo trionfo sugli Champs-Elysèes. Il trentaduenne britannico, già olimpionico nell’inseguimento a squadre (in squadra con Sir Bradley Wiggins), si era presentato al Tour come scudiero di Chris Froome, come succede ogni anno da quando il keniano bianco é diventato uno dei grandi protagonisti del ciclismo mondiale. La strada, tuttavia, ha dato un responso diverso: Froome é stato respinto dalla doppietta Giro-Tour, come accaduto a tutti nel recente passato. Thomas, invece, si é presentato al Tour reduce dalla vittoria al Delfinato, e sulle Alpi si é dimostrato il più forte di tutti, vincendo le tappe di La Rosière e dell’Alpe d’Huez. Dopo anni in cui al Gallese era sempre mancato qualcosa per fare il grande salto, ha indovinato ogni mossa in un Tour poco spettacolare, che ben presto si é trasformato in una grande partita a scacchi.

Se si esclude la vittoria di Vincenzo Nibali nel 2014, é dal 2012 che il Tour de France segue sempre lo stesso spartito tattico: corsa bloccata perchè controllata dai ritmi pazzeschi imposti dal Team Sky, abile a far prendere subito un grande vantaggio al proprio capitano e ancor più bravo a spegnere sul nascere ogni tentativo di rimonta, anche grazie ad un dominio incontrastato nelle prove a cronometro. É successo nel 2012 con Wiggins, nel 2013, 2015, 2016 e 2017 con Froome e quest’anno con Thomas. Questo dominio ha due ragioni principali: la supremazia economica della Sky (unica vera multinazionale del ciclismo moderno) e il percorso del Tour, ricco di salite con pendenze medie e regolari (che favoriscono da sempre i cronomen) e povero di tappe dove i corridori più coraggiosi possono davvero far saltare il banco.

In questa edizione della Grande Boucle questa tendenza é stata ancora più evidente: gli unici avversari credibili di Thomas e Froome sono stati altri due corridori dalle caratteristiche simili, Dumoulin e Roglic, che non avevano le caratteristiche per staccare i due inglesi in salita e non avevano alle spalle squadre di altissimo livello. Gli unici due che hanno provato a mischiare le carte sono stati, paradossalmente, due scalatori spesso troppo attendisti: Daniel Martin e Nairo Quintana, premiati con una vittoria di tappa ma naufragati in classifica a causa di una scarsa continuità di rendimento. Romain Bardet e Mikel Landa, quest’anno, hanno deluso, mentre Vincenzo Nibali é stato messo fuori gioco da un’assurda caduta sull’Alpe d’Huez. L’assenza dello “Squalo” é stata compensata, in termini di spettacolo sportivo, solo in parte dalle belle vittorie di Peter Sagan e Julien Alaphilippe.

Il vero grande assente di questo Tour, purtroppo, é stata l’organizzazione, che nella dodicesima tappa, quella dell’Alpe d’Huez, non é riuscita a mantenere i livelli di sicurezza minimi ed é stata messa in crisi da un tifo malsano, che ha infastidito i corridori e messo fuori gioco, sia pure involontariamente, Vincenzo Nibali. A differenza del Giro, inoltre, sono stati troppi gli arrivi in discesa (dove é molto più difficile fare la differenza) ed é anche mancata la volontà di esplorare nuovi arrivi in salita (la proposta italiana di far arrivare il Tour sul Colle del Nivolet, in Piemonte, é caduta nel vuoto), spesso con pendenze importanti. Il Tour, dunque, resta il terzo evento sportivo del mondo, ma se vuole rimanere tale deve essere capace di reinventarsi, coniugando il ciclismo moderno con una spruzzata di ritorno alle origini. Luigi M. D’Auria