L’atletica Italiana lascia Rio con zero medaglie
Rio de Janeiro – Al termine della trentunesima edizione dei Giochi Olimpici, che l’Italia ha chiuso al nono posto del medagliere, molti appassionati di sport del nostro Paese sono rimasti sconvolti dal poco lusinghieri bottino di 0 medaglie conquistate dalla nostra atletica. Anche se l’atletica leggera non é l’unica disciplina in cui i nostri portacolori non hanno ottenuto risultati da podio, questo zero fa particolarmente male perché sa sempre l’atletica é considerata la disciplina “regina” dei Giochi Olimpici.
Un risultato così poco lusinghiero non accadeva dai tempi di Melbourne 1956. Anche se, guardando i risultati delle ultime edizioni, la nostra nazionale aveva sempre raccolto poche medaglie, grazie soprattutto alle prestazioni di qualche fenomeno isolato. Quest’anno, invece, ci é mancato un uomo di punta, in grado di tenere in piedi da solo il nostro movimento. Avrebbe potuto esserlo Gianmarco Tamberi, bloccato prima di Rio da un serio infortunio, oppure il marciatore Alex Schwazer, colpito suo malgrado da un sistema antidoping che più che dimostrare la sua seconda positività ha preferito inchiodarlo con dei vizi di forma presenti nella tesi della sua difesa. In extremis, ci si poteva aspettare qualcosa di più da Alessia Trost, solo quinta in una finale dell’alto modestissima, dove la campionessa Beitia ha fatto peggio di ben due atlete della prova dell’eptathlon.
A questo punto, tutta la nostra atletica deve indagare sui motivi di questo disastro. La cosa peggiore, a nostro avviso, é parlare di movimento comunque sano. La nostra atletica, infatti, non gode di buona salute già da anni, dato che che da almeno un decennio sono state prestazioni singole (tutte le nazioni hanno un “fenomeno” in casa) e non il movimento a rimpolpare i medaglieri di Mondiali ed Olimpiadi. Da almeno un decennio, inoltre, l’Italia lotta per non retrocedere in Serie B nel Campionato Euroepo per Nazioni. La colpa, cari lettori, non puó essere soltanto del direttore tecnico Massimo Magnani, dimessosi subito dopo il disastro olimpico.
Le motivazioni di questo flop, a nostro avviso, partono da molto più lontano. Per esempio, dalle decisione del Governo Berlusconi di reintrodurre i Giochi della Gioventù (già aboliti da precedenti Governi), ma solo a livello locale, trasformando una grande competizione giovanile (dove molti giovani, forti del loro successo, decidevano di iniziare a fare atletica seriamente) in una sorta di gita scolastica. A livello agonistico, invece, non può non pesare l’assenza di centri tecnici di alto livello. Mentre atleti di livello internazionale giungono in Italia per allenarsi in luoghi d’eccellenza come Formia, i nostri atleti restano ad allenarsi nel campetto sotto casa, coccolati dal rispettive società, che molto spesso bloccano i loro stage all’estero per impiegarli in gara di basso livello dove la società stessa deve “farsi bella”. Inoltre, negli ultimi anni sono stati dismessi molti piccoli impianti locali (costruiti come eredità di Roma 1960 dal CONI), privando così molte province di un impianto d’atletica a norma.
Per risollevare le sorti della nostra atletica, a nostro avviso, serve un piano di durata almeno decennale, che coinvolga Fidal, enti locali e anche ciò che resta dei Ministeri dello Sport e delle Politiche Giovanili. In primo luogo, bisognerebbe ridare vita ai Giochi della Gioventù, per avvicinare più giovanissimi all’atletica. In secondo luogo, servirebbe una legge ad hoc per la ristrutturazione di impianti sportivi di proprietà dello Stato, come i già citati “Campi Scuola CONI”. Per quanto riguarda, invece, la Nazionale, la nostra testata renderebbe obbligatori dei raduni degli atleti della nazionale, accompagnati, magari, da incontri amichevoli in cui i nostri atleti sarebbero obbligati ad affrontare in un testa a testa dei mezzofondisti keniani o degli sprinter giamaicani. Dal punto di vista manageriale, poi, servirebbe una migliore organizzazione dei Campionati Societari. A nostro avviso, bisognerebbe abolire le selezioni regionali per dare ad una vera e propria “Serie A”, sul modello degli altri sport, aperta ad atleti stranieri. Immaginate, a livello di promozione, cosa vorrebbe dire avere nelle squadre italiane degli atleti come Galen Rupp o Mo Farah? Renderebbe l’atletica più appetibile a pubblico e sponsor, facendo appassionare più giovani e spendere nella nostra atletica grandi gruppi del settore.
Sappiamo che, dato il difficile momento economico attuale, non é facile mettere in atto dei provvedimenti come questi. Tuttavia, data la funzione sociale dello sport, sarebbe auspicabile quantomeno la ristrutturazione degli impianti pubblici e la rinascita, in tempi brevi, dei Giochi della Gioventù. Noi, come piccola testata, abbiamo provato a fornire degli spunti per la rinascita di una disciplina sportiva bella come l’atletica, oggi poco praticata e apprezzata nel nostro paese. Le responsabilità maggiori, però, spettano al prossimo presidente della Fidal, che sarà eletto in autunno. Dopo l’organizzazione degli Europei di cross di Chia 2016 e juniores di Grosseto 2017, il nuov Presidente dovrebbe gettarsi a capofitto, a nostro avviso, nella progettazione di un piano in grado di rendere, a partire dai Giochi Olimpici 2024, l’atletica uno sport più praticato e di cui andare fieri dal punto di vista dei risultati sportivi. Donato D’Auria