Torino – Negli ultimi mesi, la nostra testata si é occupata diffusamente di agricoltura europea e in particolare della Pac 2021-2027, con particolare enfasi sugli EcoSchemi 2,3,4 e 5. Prediligendo i contenuti politici e ambientali rispetto alle vicende di cronaca, non avremmo voluto occuparci direttamente di quanto sta accadendo in questi giorni e in queste ore in molte piazze europee, ma sollecitati da alcuni nostri attenti lettori abbiamo deciso di intervenire per spiegare le nostre posizioni.
La situazione dell’agricoltura europea non é certamente rosea e alcune dinamiche sbagliate degli ultimi decenni stanno presentando il conto, non solo a causa della situazione internazionale e degli effetti del cambiamento climatico. É certamente vero, inoltre, che la mancanza di coordinamento europeo ha determinato politiche non positive per gli agricoltori, ma le proposte politiche che muovono gli organizzatori delle proteste in corso non migliorerebbero l’agricoltura europea, anzi.
Bisogna ricordare, in primo luogo, che molti agricoltori basano la propria programmazione agricola quasi esclusivamente sugli incentivi europei, senza tenere conto del benessere delle proprie terre. I numeri della Pac 2014-2020 sono, in questo senso, impietosi: 52 miliardi di incentivi solo in Italia, di cui 42 di fondi interamente europei, in cui più che il benessere del suolo e dei territori si é voluto privilegiare il profitto e il mantenimento di macchinari costosi, antiquati e molto inquinanti, invece di una vera e propria “transizione ecologica” o di un ritorno a pratiche agricole naturali.
Con l’approvazione della Pac attuale qualche passo in favore dei piccoli e dei micro produttori é stato fatto, ma la burocrazia resta un ostacolo difficilmente superabile per molte realtà, soprattutto quelle in cui tutti gli attori presenti sul territorio sono stati meno capaci di fare squadra. Non sono, tuttavia, scomparse le speculazioni delle industrie del cibo, che spesso sfavoriscono le produzioni locali in favore delle varietà più resistenti e convenienti in termini di prezzo. I territori, anche in questo caso, non sono esenti da colpe, come spesso abbiamo cercato di denunciare riguardo le filiere dell’olio e del grano.
La necessità di cambiare il paradigma economico e politico che ha dominato l’agricoltura e la politica agricola europea negli ultimi cinquant’anni esiste ed é reale, ma non si può ragionare su questioni così centrali con il populismo delle proteste a tutti i costi e con un “tutti a casa” rivolto a politici non incolpevoli ma certamente votati pochi mesi o anni fa da coloro i quali oggi sono in prima linea nel volerli sostituire, senza però mettere in campo proposte concrete. La protesta dei forconi di circa dieci anni fa aveva affrontato, se così vogliamo dire, tematiche simili a quella attuale, mettendo però in campo lo stesso populismo inconcludente a cui stiamo assistendo in queste ore.
Un salto di qualità nella cultura e nelle politiche del cibo non potrà arrivare con proteste vaghe e confuse, ma solo con la collaborazione di tutte le persone coinvolte, a partire dai cittadini che, come elettori e “consumatori”, possono migliorare questa situazione nelle scelte quotidiane e politiche, non invocando un cambiamento continuo, ma spendendosi giorno per giorno per gli agricoltori e i politici virtuosi. La nostra testata cercherà, con umiltà e determinazione, di proseguire nella sua linea editoriale consueta, a partire dal racconto dell’agricoltura di qualità e dal laboratorio rurale del GiardinOrtoFruttetOliveto di Mezzana della Terra. Luigi M. D’Auria