Est Europa: vecchi conflitti tornano a galla dopo la questione Ucraina
Tallinn (Estonia) – Dopo esserci persi due volte, io e il mio compagno di viaggio Luigi Magnani troviamo finalmente la Reggia di Kadriorg, splendido esempio di come, dal tempo di Caterina la Grande (parliamo del XVIII secolo), l’architettura russa abbia subito un processo di “europeizzazione”, mescolando, così, lo stile architettonico Roccocò con quello tradizionale russo. Un perfetto esempio di integrazione. Purtroppo, spesso, non è stato così nel corso della storia di questa parte del mondo, visto che molto spesso, a partire dai temi degli zar del XVIII secolo, la Russia ha cercato di fare la voce grossa in questa zona del mondo, occupando a più riprese i Paesi Baltici e quelli Caucasici e mirando ad ottenere concessioni territoriali nella zona dei Balcani per affacciarsi direttamente sul Mediterraneo. L’esempio più recente, e in un certo senso anche più duraturo, di questo tentativo è la stessa Unione Sovietica, che grazie al Patto di Versavia riuscì a controllare quasi tutta l’Europa dell’est e che, provando a cementare un’alleanza con il dittatore albanese Hoxha, ebbe per qualche tempo basi militari sullo stretto di Otranto. Oggi è opinione diffusa che il titanico scontro tra occidente e Oriente (in particolare tra Stati Uniti e Russia) sia una cosa superata con il patto di cooperazione tra Russia e NATO. Invcece non è affatto così. Anzi. Occupando la Crimea e impegnando l’Ucraina in un conflitto che ne distruggerà l’economia, evitando che entri nell’Unione Europea (a quanto pare a Bruxelles i parametri economici contano più della richiesta di aiuti umanitari di un Paese che potrebbe diventare alleato), Putin e il suo establishment hanno cementato i confini “storici” del vecchio ordinamento, evitando un ulteriore avvicinamento delle istituzioni europee. A tutto ciò bisogna aggiungere la questione greca: se dovesse uscire dall’Euro, il paese ellenico chiederà aiuti alla Russia, che in cambio chiederà l’adesione incondizionata al Patto di Libero Scambio (ma di scarsa libertà) firmato da Russia, Bielorussia e Kazakhistan, guarda caso governati in maniera simil-dittatoriali da Presidenti di formazione sovietica (addirittura il Premier Bielorusso Lukasenko era nel Politburo della RSS Bielorussa). Un accordo di quel tipo sarebbe devastante per gli equilibri geopolitici europei. Esiste poi un’altra questione non di poco conto, ossia quella dei Paesi Baltici, in particolare l’Estonia, molto sottovalutata dai media internazionali ma degna di essere documentata. Infatti, i confini tra l’Estonia e la Russia (non parliamo degli altri Paesi Baltici, Lettonia e Lituania, dove i conflitti sono su porzioni di territorio molto piccole) non sono ben delimitati. Infatti, la Russia rivendica aree dell’est del Paese, un tempo contadine, popolate da coloni russi inviati dall’URSS. Vi sono tuttavia due grandi questioni irrisolte: la prima è quella riguardante i Setos, piccola popolazione contadina (non sono più di diecimila persone) che vive da millenni sull’inesistente confine-estone russo. Poichè i Setos sono ortodossi di rito estone, in caso di presenza di truppe russe sul confine (tra l’altro praticamente accertate), essi chiederebbero ospitalità all’Estonia, che li accetterebbe perchè sono cittadini estoni ma anche perché i tre principali partiti del Paese, tra i quali quelli del Premier e del Presidente, sono europeisti e usano la linea della fermezza contro la Russia. Il secondo problema è quello riguardante il lago Peipus, le cui acque fanno gola alla Russia ma sono indispensabili per l’approvvigionamento idrico dell’Estonia. Insomma, adesso è chiaro perché se due stranieri, come me e Magnani, parlano di Unione Sovietica vengono guardati in cagnesco dai tassisti. E soprattutto si capisce perché i premier di Paesi Baltici e Polonia ricordano all’Unione Europea che la questione Ucraina riguarda tutti i Paesi Europei ma, purtroppo, spesso in questa Unione Europea fatta a metà da trattati non firmati da tutti, si preferisce curare con le guerre che prevenire con la diplomazia. Luigi M. D’Auria