Tra frane ed autostop il Challenger di Cortina si conferma un ottimo torneo
Cortina d’Ampezzo – Sabato mattina c’é preoccupazione nell’hotel di San Vito di Cadore che ospita i tennisti e i giornalisti presenti al Challenger di Cortina. Tra inpiù in apprensione ci sono i due doppisti Alessandro Motti e Hsin Lee, che devono giocare la finale nel pomeriggio ma si trovano senza macchina e senza transportation. In loro aiuto viene il direttore del torneo Andrea Mantegazza, allenatore di Matteo Viola, che li fa accompagnare dal suo pupillo, abituato a passare da Auronzo di Cadore per giungere al Country Club di Cortina. Dopo la cortesia mattutina, tuttavia, é stato proprio Viola, in coppia con Paolo Lorenzi, a negare il trionfo nel torneo a Motti e Lee, al termine di un match abbastanza spettacolare. Se i giocatori sopra citati sono stati protagonisti sono arrivati in fondo solo in doppio, non si può dire lo stesso per quanto riguarda Paolo Lorenzi, capace di imporsi su tutti anche nel tabellone di singolo, dove era il principale favorito. Lorenzi, che ha costruito i suoi successi proprio nei tornei Challenger, ha letteralmente dominato il torneo, impressionando il pubblico con un servizio insolitamente veloce (aiutato dall’altura il senese ha servito anche a 225 chilometri all’ora)e imponendosi con autorità anche nei match più difficili, ossia la semifinale, che lo vedeva opposto al “terraiolo” spagnolo Munoz-De la Nava, e la finale, dove ha regolato l’argentino Gonzalez, giustiziere di un ottimo Andrea Arnaboldi. In effetti, bisogna ammettere che i nostri portacolori si sono particolarmente distinti in questo Challenger di ottima fattura (veramente di alta qualità l’organizzazione, mentre il pubblico é stato all’altezza del torneo solo nel week-end conclusivo). Tra i nostri hanno ben figurato, infatti, anche giocatori più indietro in classifica, come un ottimo Alessandro Giannessi, un ispirato Adelchi Virgili (che sembra trovarsi alla perfezione a Cortina) e un buon Matteo Trevisan, che ha sconfitto un Gianluigi Quinzi più simile negli atteggiamenti ad un quarantenne a fine carriera che ad un giovane in rampa di lancio. Si é poi distinto, purtroppo anche per questioni extra tennistiche, il classe ’96 Francisco Bahamonde. Originario di Mendoza, in Argentina, Francisco é diventato italiano da pochissimo solo grazie ad un contratto stipulato con la FIT, che si é impegnata a dargli una mano nel sostenere le enormi (purtroppo accompagnate da pochi guadagni) che deve affrontare un tennista costretto a giocare Futures e Challenger senza ospitalità. È stato davvero brutto leggere su internet commenti pesanti nei confronti di una persona non conosciuta personalmente da nessuno dei “professoroni” che si sono permessi di giudicarlo. Io, invece, preferisco attenermi ai meri fatti: Bahamonde ha iniziato l’anno da numero 1259 del mondo e ora é quasi nei primi seicento. Fosse solo un approfittatore, come é stato descritto da alcuni, a quest’ora sarebbe panza al sole nella sua argentina campando grazie alla FIT, invece é a sgobbare su campi polverosi tra Argentina e Italia. Quindi, cari professoroni del tennis, preparatevi a rosicare, perché Francisco calcherà ben presto palcoscenici molto più prestigiosi di quelli attuali, magari diventando un moderno “Camoranesi” del tennis nostrano. Luigi M. D’Auria