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Mensile Indipendente fondato e diretto da Donato D'Auria. Registrato presso il tribunale di Torino il 30 dicembre 2014 al n° 38

Cala il sipario sulla trentunesima edizione dei Giochi Olimpici

23 agosto 2016

Cala il sipario sulla trentunesima edizione dei Giochi Olimpici

Rio de Janeiro – Alla fine, é stata la solita festa di sport. Le Olimpiadi di Rio, iniziate con una miriade di critiche, sono state seguite da 3,6 miliardi di persone, che hanno ammirato (in TV, in streaming o direttamente sul posto), lo spettacolo di sport più o meno famosi, dal calcio alla scherma, passando per il tiro sportivo e la lotta libera. Senza dimenticare il nuoto e l’atletica, discipline regine di ogni Olimpiadi.

Purtroppo, durante le tre settimane di gara, non si sono fermate le tante guerre che sconvolgono il nostro pianeta, come accadeva ai tempi delle Olimpiadi Antiche. Così come non si é fermata la deforestazione che sta spazzando via i popoli indigeni brasiliani e distruggnedo uno dei grandi polmoni verdi della Terra, la Foresta Amazzonica. Tuttavia, le Olimpaidi hanno consegnato alla città di Rio nuove linee della metropolitana e altre infrastrutture, e le cerimonie di apertura e chiusura hanno avuto il coraggio di parlare di molti problemi globali. Un primo passo, insomma, che dovrebbe spingerci a non far finta di non conoscere le reali condizioni di vita della maggior parte della popolazione mondiale.

Dal punto di vista sportivo, queste Olimpiadi saranno ricordate come quelle della definitiva affermazione di molti fenomeni globali. Primo fra tutti, il nuotatore Michael Phelps, capace (a trentun anni  e dopo una squalifica causata da problemi con la giustizia) di conquistare 6 medaglie (di cui 5 d’oro), raggiungendo la stratosferica cifra di 28 medaglie, di cui 23 del metallo più prezioso. Ora, si potrà concentrare sulla famiglia e si potrà concedere un po’ di riposo. Grande impresa anche per il britannico Mo Farah, che ha rivinto i 5000 ed i 10000 metri di corsa, doppiando il risultato di Londra ed eguagliando le prestazioni del finlandese Lasse Viren, che ottenne lo steso risultato a Monaco 1972 e a Montreal 1976. Così come il finlandese, Farah ha superato una caduta nella finale dei 10000, e non ha lasciato scampo ai rivali keniani ed etiopi, incapaci di coalizzarsi contro lo strapotere del nativo di Mogadiscio.

Infine, Usain Bolt. Il giamaicano si é presentato a Rio senza tempi d’accredito alla sua altezza, tanto che molti lo davano per finito. Invece, ha centrato la terza tripletta  consecutiva nei 100 metri, 200 e 4×100. Una volta di più, il giamaicano ha dimostrato die serre il più forte quando gli appuntamenti contano. Con gli anni, é riuscito a trasformare il suo animo giocherellone e poco concentrato in una forza che gli consente di essere al meglio quando gli altri hanno i muscoli duri a causa della tensione. Anche la sua parabola sportiva, peró, sembra quasi finita. Molto probabilmente, infatti, si ritirerà dopo i Mondiali di Londra del prossimo anno.

Infine, gli eroi brasiliani. Primo, nel cuore della gente, Neymar, che ha portato la squadra del calcio maschile alla prima medaglia d’oro della sua storia, infrangendo un vero e proprio tabù. Nell’atletica, il pubblico di casa ha celebrato il successo nell’asta di Thiago Braz da Silva, che ha battuto il super campione francese Lavillenie. Il brasiliano, da junior, era un promessa (oro ai Mondiali di Barcellona 2012), ma poi si era perso. Si é ritrovato nella gara più importante della carriera, dopo un anno passato a Formia, Alal corte del guru Vitaliy Petrov, “creatore” di un certo Serghey Bubka. Con una punta di cattiveria, ci piace ricordare che, mentre Da Silva rinunciava a famiglia e casa per il suo sogno, nessuno  dei nostri atleti ha mai partecipato ad un collegiale nella stessa Formia.

Poi, ci sono i campioni anche e soprattutto nella vita. Come la judoka Rafaela Silva, che ha festeggiato la sua medaglia d’oro nella favela che l’ha vista crescere, in mezzo a criminalità e povertà. O come l’etiope Lilesa, argento nella maratona, che ha fatto il segno delle manette per ricordare il suo popolo perseguitato nel silenzio del mondo, gli Oromo. É proprio grazie a loro che le Olimpiaidi, a nostro avviso, devono continuare ad esistere. Donato D’Auria