8 Giugno 1972 : in quel lontano giorno il Vietnam è ancora in guerra, una guerra lunga ed estenuante che pare non voler mai finire. Da lungo tempo non c’è pace nel Paese diviso nettamente in due. Il mondo da quarant’anni osserva impotente quella catena di morte e quell’odio intestino che lo consuma. Sarebbe bello pensare che, grazie ad una foto divenuta così tristemente famosa da essere immediatamente passata alla storia, quel lungo conflitto ebbe termine. Sarebbe davvero confortante pensare che avvenne anche grazie all’urlo disperato di una bambina di nove anni ritratta mentre scappava nuda correndo in preda alle fiamme che le stavano rubando gli abiti, la schiena, un braccio, i capelli, la vita. Lei, Kim Phùc Phan Thi, divenne subito un’icona, il volto degli orrori della guerra, di quella come di ogni altra guerra. Il suo fu un urlo che ha attraversato il mondo con tutto il dolore e l’atrocità che i conflitti di ogni tempo generano, riassunti tutti in quel corpicino esile ma forte tanto da sopravvivere ad una bomba al napalm, il feroce acido ordigno, affamato di ossigeno, capace di incenerire a 3.000 gradi tutto ciò che trova sul suo cammino, senza distinzione alcuna. Un urlo il suo immortalato per sempre da un indimenticabile scatto di un giovane ventunenne fotoreporter vietnamita dell’Associated Press, Nick Ut, che fu padre di una foto memorabile che gli valse anche il premio Pulitzer 1973, foto che fece in breve il giro del pianeta perché un’immagine ha in sé il potere di parlare al cuore del mondo più di mille parole. Quella bambina, salvata da quello stesso fotografo, che lei oggi chiama teneramente Zio Ut, data per morta da tutti, tanto da essere inizialmente portata nella camera mortuaria di un ospedale, ce l’ha fatta ed oggi, a 56 anni, è sposa, madre, nonna felice ma è anche ambasciatrice Unesco, impegnata a portare in giro per il mondo il suo messaggio di speranza, d’amore, di perdono ma anche di ferma denuncia degli orrori della guerra, a sostegno dei bambini colpiti dai conflitti e dalle loro conseguenze, al pari di lei, nel corpo e nell’anima. Dal 1997 è fondatrice di un’Associazione no profit a loro sostegno, la Kim Foundation International. La bambina della fotografia o la bambina del napalm, come tutti l’hanno chiamata per decine d’anni, è diventata la donna del miracolo. Un miracolo il suo conquistato a caro prezzo attraverso la sua fede autentica, dopo aver abbracciato il Cristianesimo, perché dopo diciassette operazioni e tante cure, il suo corpo ancora oggi, attraverso le cicatrici ed il dolore, continua a ricordarle la sua infanzia perduta. Ma ciò che più ha bruciato in lei sono state le ferite e le cicatrici dell’anima: l’amarezza, il rancore, la morte interiore che la possedeva e che solo attraverso la sua fede, in un continuo percorso fatto di perdono profondo e di riconciliazione sincera ha potuto giungere alla completezza di quel miracolo insperato in un lungo cammino di guarigione psicofisica che lei oggi sperimenta pienamente. Ha tenacemente voluto incontrare coloro che sganciarono le bombe al napalm quel giorno sul suo villaggio, ha voluto abbracciarli in quel profondo perdono cristiano che solo può accendere un simile generoso e liberatorio gesto d’amore perché, non va dimenticato mai, il bene vince sempre sul male. Soltanto quando questo importante processo ha avuto termine, quando il sorriso si è sentito di casa sul suo volto dolcissimo, Kim Phùc ha potuto scrivere il libro della sua vita, “ Il fuoco addosso “ Edizioni Scripsi, da qualche giorno tradotto in italiano, che lei stessa ha presentato a Torino il 5 e 6 Ottobre nell’ambito di un Tour europeo, durante un evento organizzato dalla Casa editrice torinese Scripsi e durante la trasmissione domenicale su Rai 2 “ Che tempo che fa ”. Da vittima della guerra ad ambasciatrice di pace, questa donna sorridente è oggi grata di essere viva avendo fatto della sua esperienza la sua bandiera, il suo messaggio da portare al mondo. “Sono passata attraverso il fuoco e sono benedetta di essere qui con voi – sono parole dell’autrice in conferenza stampa – ed il mio sogno è che un giorno si possa vivere in pace senza conflitti. Credo che l’amore, il perdono e la pace saranno sempre più potenti delle bombe.” Il suo nome, che in lingua vietnamita significa “ felicità dorata”, ora ha finalmente trovato in lei la sua espressione più autentica. Patrizia Foresto