Yesmoke: i Fratelli Messina continuano a lottare
Torino – È davvero uno strano destino, quello della Yesmoke di Settimo Torinese. Nonostante l’odissea che la sta sconvolgendo, infatti, l’azienda continua a lavorare e prevede di chiudere con un utile di circa mezzo milione di euro. Negli ultimi mesi, poi, é tramontato anche il sogno di costituire una cooperativa di dipendenti che potesse in qualche modo rilevare l’azienda. Negli ultimi giorni, poi, é arrivata la decisione di mettere all’asta l’azienda e lo stabilimento di Settimo. I termini per la presentazione delle offerte scadranno il prossimo 12 aprile.
Si potrebbe pensare, dunque, che la vicenda stia per giungere al suo atto finale, ma le sorprese sono dietro l’angolo. Il gruppo che si aggiudicherà l’azienda all’asta, infatti, potrebbe vedersi privata della Yesmoke dopo soli due mesi. La procura, infatti, potrebbe decidere di annullare l’aggiudicazione dell’asta. Si tratta di una procedura decisamente anomala, che secondo i fratelli Carlo e Giampaolo Messina, fondatori della Yesmoke, non sarebbe neanche legale e che sarebbe da impugnare.
Proprio i due fondatori dell’azienda, decisi a non mollare, hanno contestato pesantemente le procedure della procura di Ivrea e del curatore fallimentare. Oltre a denunciare un conflitto di interessi, i due denunciano un vero e proprio accanimento giudiziario, giustificato dal fatto che le sentenze relative al settore fallimentare diventano esecutive già dopo il primo grado di giudizio. Nonostante un’assoluzione penale, pertanto, i due rischiano di essere privati dell’azienda da loro fondata, che rappresenta un’anomalia per questo ramo della giustizia: nonostante una situazione debitoria che, almeno secondo la procura, sarebbe importante (si parla di 220 milioni solo allo Stato, anche se anche su questo punto le due parti sono tutt’altro che concordi), l’azienda continua a produrre, risultando pertanto in buona salute.
Purtroppo, dunque, un’azienda italiana che era riuscita ad imporsi a livello internazionale rischia un lento declino, impossibilitata a cambiare management (nessuno, infatti, comprerebbe azienda che potrebbe essergli tolta senza motivo dopo due mesi), ma anche a ripartire con quello vecchio. Prima di evitare altri casi come questo la nostra testata propone, quindi, di favorire pene più lievi nei confronti delle aziende che non compiono reati gravi, privilegiando pene pecuniarie. Il rischio, altrimenti, é quello di rovinare belle storie imprenditoriali senza motivo. Luigi M. D’Auria