Presentato a Bra il “Film dell’anno”
Bra (Cn) – César Acevedo é un regista colombiano di ventisette anni. Quasi nessuno, a parte qualche addetto ai lavori, lo conosce veramente. Come tutti ragazzi che decidono di fare un lavoro difficile come il regista (visti i budget necessari per realizzare un film di discreta fattura) ha deciso di farlo per passione ma, oltre a questo ingrediente necessario, lui aveva anche un sogno. Dare vice ai contadini della Valle del Cuaca, in Colombia, dove é nato. Per realizzarlo é andato a studiare comunicazione sociale all’Università di Cali (come tanti grandi maestri non ha fatto studi specifici), dove si é laureato con lode presentando come tesi di laurea la sceneggiatura di “Tierra y sombre”, il nome del suo lavoro. Poi, per sette anni, ha girato il mondo con pochi soldi per inseguire bandi di concorso vari e, per sua fortuna, é riuscito a mettere insieme i soldi necessari per girare il film con una troupe preparata. Mancavano solo gli attori e César, idealista come tutti i giovani, sognava di trovare un cast di professionisti per fare le cose in grande, ma alla fine ha deciso di abbandonare l’idea perché si é reso conto che solo chi abitava quelle terre maledette poteva recitare nel suo film. Scelti cinque coraggiosi del luogo, diventati attori per l’occasione, ha girato per cinque settimane per raccontare la storia di Alfonso, anziano ex contadino che torna nella sua terra nata per accudire il figlio Gerardo, che lavora in una piantagione di canna da zucchero ed é gravemente malato. Occorre, dunque, aprire una parentesi riguardo le zone dove é stato girato il film, la Valle del Cuaca. Metà della superficie totale di quella zona é coperta da coltivazione intensive di canna da zucchero, gestite da “cooperative sociali” che, al di là del nome, non fanno nulla per aiutare i contadini, costretti a lavorare 70 ore a settimana in condizioni disumane guadagnando pochissimo, a bruciare la loro terra in nome delle coltivazioni intensive e a rinunciare a qualsiasi forma di libertà personale. Ora, grazie all’impegno di tanti sindacalisti e politici, oltre che di Slow Food, che ha contribuito sia ad aiutare i contadini che a trovare un distributore italiano del film, la situazione é un po’ migliorata, ma non é certo semplice, visto che migliaia di ettari sono ancora in mano a caporali e grandi aziende.
Tornando al film, possiamo dire una sola cosa: é fantastico. Con soli cinque personaggi in scena, che si muovono in una “masseria” circondata da coltivazioni intensive, egli riesce comunque a far capire il dramma di una terra cui é rimasta solo la quercia della famiglia di Alfonso, oltre alle canne da zucchero. Il dramma di una terra che, con l’illusione del benessere e della meccanizzazione, é stata presa in giro. In questo film c’é anche il dramma delle donne che rimangono vedove e senza figli a causa delle malattie portate dai pesticidi. Non c’é solo dolore, tuttavia, in “Un Mondo Fragile”, titolo italiano del film. Ci sono anche degli inni alla libertà dei contadini e alla loro forza di andare avanti e alla speranza dell’uomo, che se non si perde d’animo può trovare la forza di fare cose meravigliose anche nella cattiva sorte. Inoltre, viene celebrato anche il vero grande cinema, che (come é stato riconosciuto anche dal Festival di Cannes, quando ha deciso di premiare Acevedo) non ha bisogno di grandi nomi, ma di passione e storie interessanti, divertenti o drammatiche che siano, da raccontare. Luigi M. D’Auria
La locandina del Film-rivelazione “Un Mondo Fragile”
(Foto: Sebastiano Spina)