Agroalimentare estone: un settore su cui puntare
Tallinn – Affamati e stanchi, ma finalmente arrivati nella città che ospita i Campionati Under 23 di atletica leggera. Neanche il tempo di lasciare la borsa in hotel e io e Gigione Magnani stiamo camminando nel centro della Capitale dell’Estonia alla ricerca di un ristorante ancora aperto nonostante l’ora tarda. Finalmente (so che nei Paesi stranieri bisognerebbe assaggiare i prodotti locali, ma purtroppo non abbiamo trovato altro) ci imbattiamo nel ristorante italiano “Pulcinella”, dove riusciamo a mettere sotto i denti una buona pizza senza pagare tanto. Qui il titolare Maurizio ci parla della situazione economica estone. Ci racconta di come sia difficile importare nel paese baltico (la tassazione al 20% non è proprio da paradiso fiscale e la burocrazia italiana, come al solito, non incoraggerebbe neppure il più inguaribile degli ottimisti) e di come sia difficile trovare del pesce fresco a prezzi ragionevoli. Un altro problema sempre attuale è quello dell’Italian sounding: anche in Estonia, infatti, va molto di moda vestire “griffe” italiane, ma anche mangiare italiano, così molti ristoratori decidono di dare un nome italiano al loro ristorante per accalappiare turisti e locali, che poi devono considerare “italian pizza” un prodotto fatto non si sa dove e comprato da discount all’ingrosso. Ovviamente, mio nostro governo non fa niente per combattere questa piaga, che potrebbe essere arginata firmando trattati bilaterali con i singoli stati, in modo da favorire i produttori onesti con leggi ad hoc sull’etichettatura e non le grandi multinazionali con leggi che favoriscono la banalizzazione, come il uovo trattato europeo per il commercio con gli Stati Uniti (il TTIP). Non usciamo, tuttavia, troppo dal seminato, visto che questo articolo tratta il settore agroalimentare estone, retto sicuramente dalla pesca (soprattutto nell’ovest del Paese, visto che a nord è sensibile l’inquinamento della baia di Tallinn e delle zone limitrofe) di aringhe e salmoni (pesci principi della cucina estone), ma anche dall’agricoltura. Infatti, sono molto utilizzate in cucina le patate e le cipolle rosee, tipiche delle zone orientali del Paese, che accompagnano spesso i piatti di pesce e di carne, che spesso costituisce la base dei pasti degli estoni (nel centro di Tallinn sono molte le steck house che, per ragioni di marketing, si fingono americane, ma portano in tavola carne estone). Per quanto riguarda le bevande, c’è ovviamente la birra, mentre il vino è considerato una nicchia soprattutto per i costi, anche se esiste una piccola zona di produzione nella zona centrale del Paese. Insomma, in generale possiamo dire che l’Estonia non è affatto povera di eccellenze agroalimentari, ma è assolutamente carente nella promozione dei propri prodotti. Per quanto riguarda l’occupazione, molti giovani trovano spazio nel mondo del food, anche se in genere pochi hanno il coraggio di tentare avventure in proprio. Infine, la nostra testata si sente di fare un appello alle istituzioni italiane ed estoni: un accordo bilaterale sul commercio sarebbe importante per entrambe le Nazioni. L’Estonia, infatti, ci guadagnerebbe in termini di visibilità, aprendosi al mondo e perdendo la paura di scrivere “Made in Estonia” (aggiungiamo anche che le zone agricole del Paese baltico potrebbero guadagnarci in termini di contributi europei, perché una parziale internazionalizzazione aiuta ad essere più intraprendenti nel richiedere ciò che sarebbe dovuto), mentre l’Italia inizierebbe a combattere la piaga dell’Italian sounding, senza fretta(questi accordi andrebbero fatti con ogni nazione, visto che la voglia di cibo italiano è mondiale) ma con una giusta fermezza che potrebbe sicuramente aiutare il nostro PIL. Luigi M. D’Auria